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Giornalista: Bruna Larosa.

Intervistato: Francesco Lo Giudice, in qualità di dottorando di ricerca. 18 settembre 2010

Perché hai scelto di fare il dottorato? (anche in cosa lo hai fatto)

Ho scelto di fare il dottorato di ricerca perché gli studi universitari mi son piaciuti molto. Mi hanno insegnato e donato tantissimo anche a livello umano. Ho così maturato la convinzione che non avrei potuto abbandonare lo studio, che anzi ne avrei dovuto fare, se possibile, una professione. E così ho scelto di intraprendere la carriera accademica, partendo dal provare a vincere il dottorato di ricerca. Attualmente sto svolgendo un dottorato in sociologia politica.

Come ti sei trovato (con il tutor, nella struttura universitaria, esperienze fuori dalla realtà calabrese)

Il Dipartimento di Sociologia e Scienza Politica dell’Università della Calabria dove sto svolgendo il dottorato è organizzato molto bene e raccoglie decine di grandi professionisti, docenti e ricercatori di notevole spessore umano e professionale. A differenza di ciò che accade in altri Atenei, qui da noi all’UniCal, (anche per il fatto di essere strutturati in campus universitario) docenti e studenti interagiscono molto facilmente e in continuazione. Accade lo stesso tra noi dottorandi e i nostri tutor. Un’interazione reciproca e molta disponibilità da parte dei tutor, almeno per quanto mi risulta, sia per esperienza personale che dal confronto con i colleghi. Qualche disagio lo vive chi, come me, avendo vinto il dottorato di ricerca senza borsa di studio, e quindi senza retribuzione economica, deve svolgere attività di collaborazione remunerate per potersi guadagnare da vivere. Così facendo, però, sottrae tempo ed energia all’attività di ricerca scientifica vera e propria. Io personalmente non sono andato ancora all’estero, ma la maggior parte dei miei colleghi ha fatto esperienze di ricerca in paesi stranieri.

Un dottorato di ricerca apre sempre la strada alla carriera universitaria?

E’ certamente una tappa importante per poter intraprendere la carriera universitaria, un’ottima occasione per verificare, innanzitutto a sé stessi, l’attitudine alla ricerca scientifica,  ma non è certo sufficiente alla carriera. Dopo il dottorato ci sono altri concorsi e prove da superare per diventare professori. Diversi dottori di ricerca rinunciano a proseguire la carriera perché nel frattempo intravedono altri sbocchi professionali, sia in modo volontario, che indotti dal potere eccessivo di alcuni docenti universitari, i cosiddetti ‘baroni’, che decidono il futuro dei giovani all’interno dell’accademia universitaria.

Cosa pensi dello sconforto del dottorando di Palermo, che è arrivato a  togliersi la vita poiché non vedeva alcuna prospettiva avanti a sé?

Questi solitamente sono atti inconsueti e drastici che derivano dall’intreccio di più situazioni di disagio di tipo personale e sociale. Tuttavia, la morte tragica di questo collega è indicativa di come la precarietà professionale si ripercuota negativamente e drammaticamente sulla vita quotidiana stessa, soprattutto a chi, dopo aver fatto tanti sacrifici per studiare e laurearsi in maniera brillante, per vincere concorsi e realizzarsi dignitosamente, si vede con un futuro incerto ed angosciante, costretto quasi a sentirsi in colpa per aver scelto di fare un mestiere di cui invece dovrebbe sentirsi onorato ed andar fiero. Spero che la politica riesca a trovare subito una soluzione a questa fase storica del mercato del lavoro.

 

 

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