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Spesso non si riflette su piccole cose, che nella loro semplicità sono in grado di assurgere ad esempio concreto e folgorante di tante piccole contraddizioni che non fanno altro che alimentare le oramai ataviche “piaghe” del Mezzogiorno e della Calabria. Ecco, in Cambiare il sud per cambiare l’Italia Francesco Lo Giudice giovane ed appassionato studioso e politico italiano, mette insieme le riflessioni frutto di anni e anni di studio, ricerca e forte impegno politico, mettendo a nudo il doppio volto della sua amata terra: da un lato le straordinarie potenzialità socio-culturali, politiche ed economiche e dall’altro le annose ed irrisolte problematiche legate per esempio, alla criminalità organizzata o alla dilaniante disoccupazione. In questo percorso, rispolverando i suoi scritti (dal 2006 ad oggi) sull’ormai tristemente nota “Questione Meridionale” Francesco si scontra e, soprattutto, si confronta con le laceranti contraddizioni di un territorio “colonizzato” da logiche globali che impediscono il manifestarsi delle sue vere potenzialità.
Il testo di Francesco sembra esser nato da tanti dubbi, domande, riflessioni, e la sua straordinaria originalità sta nel creare nuovi dubbi, domande e riflessioni. Sì, proprio così, il grande merito di questo testo non è soltanto quello di proporre un’accurata critica ed analisi del contesto Meridionale ma è quello di “risvegliare le coscienze” è quello di far capire come l’eterna sfida del Mezzogiorno e della Calabria non si gioca a Bruxelles e nemmeno a Roma. Lo dice bene, nella sua prefazione al libro, Gianni Pittella – Vice presidente vicario del Parlamento europeo – la vera sfida per il Mezzogiorno si decide dentro ognuno di noi e per crescere e concretizzarsi ha bisogno di una vera e propria rivoluzione culturale. Motivo per cui il testo si inscrive nella migliore tradizione del meridionalismo progressista. Nel testo Francesco raccoglie lettere, scambi epistolari, riflessioni, esperienze di vita quotidiana che permettono: da un lato di comprendere appieno la realtà che si ritrova a sopportare e supportare un giovane meridionale insoddisfatto del proprio Meridione, e dall’altro l’importanza di condannare una volta per tutte lo sconfinato individualismo che si aggiunge sempre di più agli storici “mali” di questa terra.
Lo stile diretto a tratti “letterario” degli aneddoti raccontati da Francesco, non tolgono rigore scientifico al suo lavoro, anzi ne fanno il punto di forza, rappresentano quel di più in grado di stimolare l’attenzione del lettore e di avvicinare il comune cittadino italiano a questioni che spesso sembrano essere solo “degli addetti ai lavori”. Quello che ci viene offerto è un contributo di estrema importanza proprio perché permette uno sguardo più ampio rispetto alla problematica trattata: la mafia non è l’unico problema del sud Italia, ad essa bisogna aggiungere la scarsa emancipazione civile e politica, e quindi la scarsa capacità di organizzazione sociale ed economica, dei suoi abitanti. Questo lo spiega bene Francesco che tra una riflessione e l’altra ripensa al suo territorio parafrasando brillantemente la famosa affermazione di Franklin Delano Roosevelt: «L’uomo nel bisogno non è un uomo libero!»
Estremamente esemplificativo per comprendere il punto di vista offerto in questo libro è l’aneddoto scientifico che Francesco analizza minuziosamente e che io riporto di seguito: “Si narra che un giorno un etologo prese delle pulci e le chiuse in una scatola di vetro, per osservarne il comportamento. Le pulci, come è nella loro natura, cominciarono a saltare per muoversi ed uscire dal contenitore ma, saltando, sbattevano continuamente la testa al coperchio di vetro. E così, salta oggi, salta domani, sbatti la testa oggi, sbatti la testa domani, le povere pulci smisero di saltare.. pur rimanendo vive sul fondo della scatola. Fu a quel punto che lo scienziato rimosse delicatamente il coperchio e attese la loro reazione. Ebbene, incredibile a credersi, le pulci non fecero più nessun salto e morirono nella scatola aperta!” Il messaggio che si vuole lanciare è più che mai chiaro e definito: anche quando, per una qualche ragione, mutano le condizioni esterne e vengono meno gli ostacoli che impediscono il successo di un’azione, spesso non si ha più il coraggio di riprovarci perché, nel frattempo, la serie di fallimenti registrati e le relative sofferenze patite, ci hanno fatto perdere l’entusiasmo e la capacità di iniziativa, portandoci a rinunciare al raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Il libro di Francesco rappresenta materialmente la necessità di non perdere la speranza e di continuare a lottare per una società diversa, una società che lungi dall’essere pienamente democratica e civile, continua ad essere contraddittoria ed ingiusta. Mi vengono in mente delle parti di “Noi Credevamo” romanzo del 1967 in cui la scrittrice Anna Banti, volendo guardare agli esiti del Risorgimento da una angolatura critica e da una prospettiva dominata dalla delusione, mette non a caso in scena un personaggio meridionale, Domenico Lopresti. Vorrei ricordare le parole di amara delusione del protagonista quando paragona se stesso ai giovani meridionali che corteggiano l’amata passeggiando sotto le finestre la notte, così faceva Domenico, davanti l’Hotel di Garibaldi, dove si era trasferito dopo aver consegnato al Re l’Italia “la nostra povera Italia”… commemora così la sua giovinezza perduta le ragazze che poteva avere e non ebbe….. la sua Italia era una smunta schiava che aveva cambiato padrone! Sostanzialmente tutto era rimasto com’era. Ecco, il testo di Francesco Lo Giudice rappresenta un significativo tentativo di impedire il fossilizzarsi di problematiche solo apparentemente irrisolvibili. Un testo in grado di stimolare la riflessione e che se accolto nel modo corretto può contribuire alla nascita di una nuova stagione “all’ombra della quale si potrà affermare una classe dirigente di prim’ordine”.

Rossella Michienzi

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