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Le storie che racconto di seguito sembrano tratte da una favola di Walt Disney o dal romanzo di Mark Twain, ma sono accadute realmente e di recente, circa un anno e mezzo fa, in Sicilia, ad un mese e pochi chilometri di distanza l’una dall’altra, ed hanno per protagoniste due giovani donne, entrambe incinte e pronte a partorire.

La prima, di cui non viene fatto il nome, è una rumena di 24 anni, disoccupata. Arriva ad un ospedale , in provincia di Agrigento, accompagnata dal marito, anch’egli rumeno e disoccupato. La ragazza ha le doglie, deve partorire ma la porta del reparto di maternità dell’ospedale è chiusa e, pur avendo bussato per mezz’ora, nessuno risponde. Lei non ce la fa più e partorisce su una sedia nel corridoio del reparto, dove si abbandona stremata. Solo dopo aver dato alla luce la Sua piccola, arriva un’infermiera che taglia il cordone ombelicale e trasferisce mamma e neonata in reparto, dal quale, sottoposte ai controlli del caso vengono dimesse due giorni dopo nonostante il parto complicato. Ritornata a casa però la giovane rumena si accorge di qualcosa di strano sulla pancia della sua piccola creatura e decide di portarla nuovamente in ospedale. E’ un’infezione che si propaga dalla cicatrice ombelicale a tutto l’addome, probabilmente causata dalle scarse condizioni igieniche in cui è avvenuto il parto. I medici capiscono subito la gravità della situazione e mandano di corsa la bimba a Palermo dove, nonostante i tentativi di cura, muore per setticemia ad una settimana di vita. I genitori sporgono denuncia e la Procura di Agrigento, tramite un magistrato, iscrive nel registro degli indagati 11 operatori sanitari per omicidio colposo.

Passa circa un mese da questa brutta storia. Questa volta a dover partorire, in un ospedale poco lontano, non è una rumena ma la nuora di un noto politico siciliano, perché moglie del figlio. Per il loro primo lieto evento, la giovane coppia sceglie un ospedale di Palermo, la cui direzione, poche settimane prima e in pochi giorni, decide di rimettere a nuovo alcune stanze del reparto di ginecologia e ostetricia, proprio quelle che ospiteranno la nuora del noto politico. Tecnici e operai provvedono a tinteggiare le pareti, sistemano i controsoffitti, installano nuove tende e posizionano nuovi divani.  La donna, nella contentezza della famiglia e assistita adeguatamente, dà alla luce la Sua piccola. Nei giorni successivi il reparto è un via vai di amici e familiari, nonché di politici e amministratori, a cominciare dal Sindaco di Palermo, che vengono a salutare la neonata e i suoi familiari. Dimessa la paziente, le stanze ristrutturate vengono chiuse. A chi chiede spiegazioni sulla curiosa vicenda, il direttore dell’ospedale minimizzando risponde che detti lavori erano previsti da tempo e che avrebbero riguardato in futuro altre divisioni del presidio ospedaliero.

Ho deciso di paragonare questi due episodi, appresi dalla stampa, non per dare ulteriore amplificazione alla malasanità italiana (già ampiamente denunciata) o per condannare chicchessia; semplicemente per due motivi sostanziali:

Il primo, per la convinzione che la qualità di un sistema sociale – in questo caso quello sanitario – si possa misurare calcolando la distanza tra gli accadimenti posti ai suoi limiti. Come in questo caso: da una parte (forse solo per coincidenza) viene negato ad una donna il reparto di maternità, costringendola a partorire in corridoio e facendole perdere la figlia per infezione; dall’altro, (forse solo per coincidenza) il reparto di maternità viene addirittura ristrutturato e rinnovato per ospitare la partoriente e la sua famiglia.

Il secondo, perché il sistema sanitario, proprio per la sua funzione di garante del diritto alla salute, al benessere e alla vita dei cittadini rispecchia – più degli altri settori sociali – le logiche e le dinamiche, i vizi e le virtù della società in cui opera e, in quanto tale, si conferma il più idoneo a rivelarne lo stato di salute democratico.

Certo, all’interno del sistema preso ad esempio ci sono migliaia di donne che partoriscono ogni anno normalmente e felicemente. Ma le storie suddette mi sembrano indicative di una società, quella italiana che, lungi dall’essere pienamente democratica e civile, continua ad essere contraddittoria ed ingiusta, offrendo ancora oggi troppo a chi ha molto e quasi niente a chi ha poco, esasperando i conflitti al suo interno tra le classi sociali, tra i poteri dello Stato, tra i poveri e i ricchi, tra gli uomini e le donne, tra il Sud e il Nord, tra il privato e il pubblico, tra i doveri ed i diritti, tra l’essere e l’apparire, tra il nuovo e il vecchio e tra il simile e il diverso.

In questo senso, dunque, più che cercare di cambiare la Costituzione, sarebbe più logico impegnarci tutti ad attuarne i principi ancora troppo disattesi. Come quello enunciato dall’art. 3, che impegna la nostra Repubblica a garantire a tutti i cittadini, in modo effettivo, la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge.

29 marzo 2011
Francesco Lo Giudice

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